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05/05/2017
"Vele nuove". L'articolo del Dg Federcasse, Gatti pubblicato nel mensile Credito Cooperativo

Riportiamo, di seguito, l’articolo del Direttore di Federcasse, Sergio Gatti, pubblicato nella rubrica Bisbetica della rivista Credito Cooperativo di marzo 2017.

Sergio Gatti
sgatti@federcasse.bcc.it

 

Troppe banche e troppo piccole. In che senso?
E rispetto a cosa? Ma se sono sane, ben capitalizzate e ben governate, sufficientemente redditizie, efficaci nella propria missione statutaria, organizzate in rete e assicurate in un Fondo di Garanzia Istituzionale riconosciuto (IPS, come in Germania e Austria) o legate in un contratto di garanzie incrociate (cross guarantee scheme, come in Spagna e presto in Italia), perché considerarle troppe e troppo piccole?

 
Il Fondo Monetario Internazionale già lo scorso ottobre aveva evidenziato la necessità di procedere ad una razionalizzazione dell’industria bancaria europea e interpretato, ad esempio, la riforma delle BCC varata sei mesi prima come un’importante tappa verso la razionalizzazione (ovvero concentrazione) del credito mutualistico italiano.
L’obiettivo al quale punta la riforma 2016 è in realtà quello di rendere più competitiva, efficace e solida la singola BCC, non automaticamente più grande come risultato di fusioni.
Questa primavera, con il Financial Stability Report presentato in aprile, il Fondo Monetario è tornato sul tema:
“In Italia c’è un grande numero di banche e una bassa concentrazione”. Ma poi a ben guardare, scrive lo stesso FMI, la dimensione ottimale non è definita. E, tutto sommato, anche le economie di scala nell’industria bancaria non forniscono indicazioni univoche come in altri settori.

Dal canto suo, la Commissione UE , il 22 febbraio dà atto di diverse cose. Nel merito della riforma del Credito Cooperativo, il Country Report 2017 relativo all’Italia, sottolinea come, “portata a termine con successo, la riforma consentirebbe alle BCC una maggiore resilienza dovuta ad un più agevole accesso al mercato dei capitali, all’esistenza di un meccanismo di garanzie incrociate, al conseguimento di economie di scala (...) Sarebbe inoltre un passo avanti per ridurre la frammentazione del sistema bancario”.
Il Documento 2017 di Economia e Finanza (DEF) e, in particolare il Piano nazionale di riforma (PNR), sottolinea anch’esso il contributo al consolidamento: “la riforma delle banche di credito cooperativo (BCC) concorre al consolidamento del settore bancario: le nuove aggregazioni ci consegnano banche più grandi, più forti e più trasparenti, capaci di valorizzare e tutelare il risparmio e di sostenere la ripresa con servizi più moderni ed efficienti a famiglie e imprese”.

In questa fase di costruzione di un nuovo modello organizzativo per le BCC italiane - una vera e propria fase fondativa - la lettura esterna delle Autorità e il dibattito interno non sembrano attratti da alcuni temi sostanziali. Come confermare con modalità adeguate alla contemporaneità una forte scelta di campo sul senso del fare banca mutualistica in quest’Italia e in quella di domani? Come interpretare, qualcuno direbbe incarnare, quel ruolo di cambiamento, quella funzione generativa, quella missione di costruzione del bene comune (statutariamente prevista) tipici della cooperativa bancaria a mutualità prevalente?
Come prevenire il rischio di “normalizzazione” e di appiattimento su modelli tradizionali, forse più “comprensibili” dal supervisore?

Le BCC sono strumenti. Il Gruppo bancario cooperativo a sua volta è uno strumento potente a disposizione delle BCC. Ma a cosa servono davvero le BCC e il Gruppo al quale è affiliato? A servire meglio le economie dei territori, le famiglie e le imprese.
A rispondere meglio alle esigenze di un sistema imprenditoriale dalla morfologia del tutto originale: il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti.
Imprese che in molti casi sono nate, sono cresciute grazie alle banche locali. E che fanno parte di un eco- sistema d’imprese che riesce ad essere - nonostante tutte le difficoltà - il secondo per capacità di esportazione in Europa e nel mondo. Su oltre 5 mila e 100 prodotti commercializzati a livello mondiale e presi in considerazione in uno studio della Fondazione Edison, quelli italiani che occupano il primo posto sono 210, il secondo posto sono 344 e il terzo posto 290. Totale, 844 prodotti per un valore di 161 miliardi di dollari.

A tali risultati, sempre migliorabili naturalmente, non sono estranee le banche di territorio e le loro strutture di secondo livello (un’esclusiva delle BCC). Ma oltre a queste finalità strategiche sul fronte dello sviluppo imprenditoriale, le BCC hanno un senso se si pongono obiettivi di cambiamento: ridurre le disuguaglianze crescenti. Concentrarsi sul supporto alla creazione e all’evoluzione del lavoro. Contribuire al riequilibrio territoriale tra nord e sud. Contrastare il declino demografico. Promuovere risposte mutualistiche alla domanda di fatto crescente (e non sempre consapevole) di assistenza socio-sanitaria, previdenza integrativa, energia da fonti rinnovabili, forme innovative di assicurazione. Puntando anche sul digital mutualism, come lo definiscono alcuni economisti.

Ma le BCC hanno senso se investono con decisione soprattutto sulle nuove generazioni: “sono il nuovo che produce nuovo”. La Fondazione Toniolo nel suo Rapporto giovani 2017 appena uscito: “non vengono per essere uguali alle generazioni precedenti (dei genitori e dei nonni) e non nascono e crescono in un mondo uguale a quello delle generazioni precedenti. Sono quindi il modo attraverso cui una società costruisce il proprio futuro, che è sempre un luogo diverso dal presente. Quello che accade ai giovani, quello che desiderano, quello che progettano, contiene allora le informazioni più importanti per capire dove soffia il vento del cambiamento e come sono disposte le nostre vele rispetto a tale vento. Solo se le opportunità delle nuove generazioni aumentano rispetto a quelle precedenti possiamo dire che la direzione intrapresa è quella giusta”.

Ancora. “La spinta giovanile verso l’innovazione, come ricerca di nuove soluzioni, è ancor più importante oggi di fronte alle grandi trasformazioni demografiche, alle sfide poste dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica, destinate a produrre un grande impatto sulle vite dei singoli, sull’organizzazione sociale, sulla crescita economica. Davanti a tali mutamenti è cruciale, anzi vitale, aiutare le nuove generazioni a produrre nuove mappe della realtà in trasformazione e individuare i percorsi più promettenti per raggiungere obiettivi condivisi. Una delle chiavi principali per rimettere in moto il Paese sta nel rapporto tra valorizzazione del capitale umano e competitività delle aziende. All’interno di queste ultime una crescente attenzione viene assegnata alle life skills, competenze traversali in grado non solo di aumentare l’occupabilità, ma soprattutto di trasformare il sapere teorico e tecnico in partecipazione di successo ai processi innovativi”. Sono considerate life skills la visione positiva della vita, la progettualità, l’apertura verso gli altri.
Le nostre vele sono ben orientate?